Kill Bill

Kill Bill non è semplicemente un grande film.
E’ un’esplosione sensoriale.
E’ un’officina di emozioni.
E’ un caleidoscopio di immaginazione.
È una bottega artigiana in cui una semplice storia di vendetta viene modellata in un magnifico dipinto dove ogni personaggio interpreta un gradino verso la catarsi.
Dove ogni dialogo massimizza l’estremo e ogni musica modella le emozioni.
Dove ogni sguardo è un attimo perduto nell’eternità e ogni duello è una cerimonia immersa nel sangue. 
E Tarantino è un maledetto genio.

Cinema – Interstellar

Se volete apprezzare in modo totale, definitivo, completo, un film come Interstellar, fate dei figli.
Perché il film di Christopher Nolan, prima di essere un film di fantascienza, con uomini e donne che viaggiano nello spazio alla ricerca di un modo per salvare l’umanità dall’estinzione, è un film sul rapporto tra un padre e una figlia.
Naturalmente, anche se non si è padri si può amare ugualmente il film apprezzandolo in tutte le sue dimensioni.
Ma se si è padri, beh allora la prospettiva cambia totalmente.
Nei vari piani in cui si sviluppa la storia infatti, il più toccante, il più evocativo è quello che riguarda il rapporto d’amore tra il protagonista e la sua bambina che si sviluppa nel tempo e nello spazio e in tutte le altre dimensioni che l’umanità imparerà a conoscere nel percorso che la condurrà alla salvezza. Un amore perduto nello spazio-tempo ma che proprio nel continuum temporale avrà modo di fondersi e di modificarsi fino alla completa catarsi.
Nolan ha il pregio di saper raccontare storie dalla difficile comprensione ma capaci di evocare sentimenti e suscitare emozioni. Forti emozioni.
Perché Interstellar, come Inception del resto, è un film difficile da capire perché si sviluppa su piani differenti e in tempi differenti, perché utilizza concetti di fisica quantistica di non facile comprensione, perché richiede uno sforzo cognitivo lungo tutto l’arco della narrazione.
Ma nonostante ciò, riesce perfettamente a raccontare una storia e a emozionarti con essa.
E alla fine è proprio questo quello che si chiede a una storia.

Cinema – Ad Astra

Quando termini la visione di un film come Ad Astra, ti poni essenzialmente due domande.
Perché ho voluto vedere questo film?
Perché l’ho guardato fino alla fine?
La risposta alla prima domanda è semplice: si tratta di un film di fantascienza e io i film di fantascienza li guardo a prescindere. E poi c’è Brad Pitt che, oltre ad essere uno dei miei attori preferiti, dovrebbe essere garanzia di qualità della pellicola.
La risposta alla seconda domanda è invece più complicata. Ma permettetemi comunque di riproporla nel caso qualcuno se la fosse persa nei meandri del mio eloquio. Per quale dannatissimo motivo mi sono imposto di guardare questo pallosissimo film fino alla fine?
La risposta a tale profondo quesito è da ricercarsi nel fatto che il film narra la storia di un viaggio interplanetario che va dal punto A al punto B per un motivo ben preciso che chiamiamo X. Ciò comporta che lo spettatore medio, che poi sarei io, vuole andare a vedere che diavolo c’è nel punto B e se davvero il motivo X è la reale giustificazione di questa impresa.
E siccome vuoi con tutte le tue forze arrivare al punto B visto che hai avuto la sfiga di vedere la partenza dal punto A, fai un patto con il tuo attore preferito e con il regista, e sospendi la tua incredulità fino al punto B nella speranza che la storia possa migliorare a partire da qualunque punto intermedio tra A e B.
Ti lasci quindi scivolare addosso la noia e le lungaggini narrative, le presunte scene d’azione che dovrebbero movimentare il racconto ma che invece lo ridicolizzano, gli sguardi persi nel vuoto del nulla cosmico, i dialoghi monocorde, la piattezza dei personaggi.
Tutto pur di arrivare al punto B.
Questa è indubbiamente una nota di merito per la regia che riesce a incollare lo spettatore alla poltrona fino alla fine.
Fino al punto B.
Poi però lo spettatore, arrivato al punto B vorrebbe strappare la poltrona e tirarla in testa al regista e allo sceneggiatore.
Comunque, io al punto B ci sono arrivato. Mi chiedo quanti altri abbiano fatto lo stesso.